dal sito www.corriere.it
1 dicembre 2020
articolo di Federico Fubini
I negoziati fra i ministri finanziari europei di ieri e quelli di queste settimane a Bruxelles riguardano una storia da non ripetere. Sfrondati i dettagli, si sta parlando quasi solo di come far sì che le banche e l’economia italiana in uscita da Covid non ripercorrano la strada di una decina di anni fa. Nel 2007 gli istituti entrarono nella Grande recessione con crediti deteriorati al 5,8% del totale dei prestiti; sette anni più tardi quella quota era balzata al 18% e avrebbe paralizzato il Paese fino al 2020: il credito alle imprese ridotto di 275 miliardi di euro al febbraio scorso (meno 30%), la ripresa italiana fra le più deboli al mondo.
Permettere che le banche restino a lungo malate – è stata la lezione – significa azzoppare un Paese. Ora i crediti deteriorati sono ridiscesi, ha rivendicato ieri in parlamento il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri: giù al 5,3% dei prestiti a metà del 2020, un progresso che ieri anche l’Eurogruppo ha riconosciuto. Ma la recessione più violenta della storia repubblicana non potrà che lasciare cicatrici dopo il 2020, una volta scadute le moratorie da 300 miliardi sulle scadenze bancarie e esaurite le garanzie pubbliche da almeno 130 miliardi sul credito. Gualtieri sa che ora il governo deve evitare gli errori di un decennio fa, quando l’intero sistema italiano decise di non affrontare subito le difficoltà delle banche.
Oggi però in Europa il quadro è diverso, più vincolante. Le norme che impongono perdite su azionisti, creditori e potenzialmente anche per i depositanti, prima che un governo possa sostenere una banca, sono fra le poche a non essere mai state sospese nella pandemia. Lo stesso comunicato dell’Eurogruppo di ieri le rivendica, pur riconoscendo che un negoziato su questi temi sta per aprirsi. Germania, Olanda e vari altri Paesi del Nord restano sospettosi sugli aiuti pubblici agli istituti – specie se italiani – tanto quanto nella maggioranza a Roma lo sono i 5 Stelle. Gualtieri deve dunque di trovare un compromesso nella maggioranza e a Bruxelles, perché i crediti deteriorati minacciano già di risalire e innescare una stretta imposta dalla vigilanza della Banca centrale europea che frenerebbe la ripresa.
Fra due settimane il confronto entra nel vivo: la Commissione Ue pubblicherà un documento sulla gestione dei prestiti bancari finiti in default. Il metodo più consigliato agli istituti sarà una svendita rapida degli attivi in default a gestori specializzati, un po’ come in Italia si fa dal 2015. Tuttavia da settimane Andrea Enria, il presidente (italiano) della vigilanza della Bce, fa circolare anche altre idee. C’è per esempio l’opzione di una rete europea di bad bank nazionali finanziate con denaro pubblico per rilevare i crediti deteriorati dalle banche a prezzi commerciali sì, ma non tali da imporre agli istituti perdite troppo gravi. La condizione posta alle banche per accedere all’intervento della bad bank, nell’idea di Enria, sarebbe un recupero di redditività. Se necessario, vendendosi a altre aziende più efficienti.
Il confronto è appena iniziato, Gualtieri è fra i negoziatori più esperti in Europa ma capisce che, per contare, il suo governo dovrà dimostrarsi coerente. Deve dunque rispettare gli impegni presi con i salvataggi bancari degli ultimi anni, incluso il più difficile: cedere entro fine 2021 il 68,2% del Monte dei Paschi oggi in mano al Tesoro. Se il governo non rispettasse questa promessa, sarebbe meno credibile e meno ascoltato ora che si ridisegnerà un percorso per portare le banche fuori dalla recessione.
È qui che la vicenda europea si incrocia con quella di Unicredit. La contrarietà dei 5 Stelle a concedere quel che di fatto è un forte sussidio all’istituto milanese perché assorba Mps, unita alla pressione del governo su Unicredit stessa, sta destabilizzando il quadro. Si avvia all’uscita Jean-Pierre Mustier, l’amministratore delegato che aveva risollevato il secondo istituto italiano. Il titolo di Unicredit crolla e l’azienda diventa più scalabile. Andrea Filtri, analista di Mediobanca, prevede che Unicredit possa diventare preda di un’acquisizione da parte della francese Bnp Paribas: nascerebbe un istituto con un bilancio da 2.800 miliardi, presente in Germania, Francia, Italia, Polonia, Turchia, Ungheria, Russia. Così, per salvare Siena, l’Italia avrebbe spianato la strada alla conquista dall’estero della sua banca più europea.
© RIPRODUZIONE RISERVATA