A Bologna c’è un orologio che segna le 10.25 di mattina da 35 anni. E’ l’orologio dell’ala ovest della stazione di Bologna ed è fermo dal 2 agosto del 1980, quando una miscela di tritolo e T4, in tutto 23 chili di esplosivi nascosti in un bagaglio abbandonato nella sala d’aspetto della stazione, esplose uccidendo 85 persone, ferendone altre 200 e segnando la città. L’esplosione fu violentissima e provocò il crollo di circa 30 metri di pensilina e delle strutture sovrastanti le sale d’aspetto di prima e seconda classe dove si trovavano gli uffici di un azienda di ristorazione. L’esplosione, che lasciò un cratere al suolo, investì anche il treno Ancona-Chiasso in sosta al primo binario. Bologna reagì mettendo in moto una gigantesca macchina di soccorso e assistenza per le vittime e i sopravvissuti. Un autobus, il 37, fu dirottato sulla stazione e per 15 ore consecutive fece la spola dalla stazione all’obitorio, diventando, come l’orologio dell’ala ovest, il simbolo di quella strage.
Alle 17,30, il presidente della Repubblica Sandro Pertini arrivò in elicottero e si precipitò all’ospedale Maggiore dove era stata allestita una delle tre camere mortuarie. Incontrando i giornalisti il Presidente sconvolto disse: “Signori, non ho parole, siamo di fronte all’impresa più criminale che sia avvenuta in Italia”.
La strage di Bologna rappresenta infatti l’attacco più violento sferrato dagli strateghi della tensione negli anni di piombo. Cominciò una delle indagini più difficili della storia giudiziaria italiana. Le indagini si indirizzarono quasi subito sulla pista neofascista, ma solo dopo un lungo iter giudiziario e numerosi depistaggi (per cui vennero condannati Licio Gelli, Pietro Musumeci, Giuseppe Belmonte e Francesco Pazienza), la sentenza finale del 1995 confermò la matrice fascista e condannò Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro come appartenenti alla banda armata che ha organizzato e realizzato l’attentato di Bologna mentre nel 2007 si aggiunse anche la condanna di Luigi Ciavardini, minorenne all’epoca dei fatti.
La mancanza di un apposita legge per il reato di depistaggio ha però permesso che personaggi come Licio Gelli, P2, e gli ex 007 del Sismi Francesco Pazienza, Pietro Musumeci, Giuseppe Belmonte, pur riconosciuti autori del depistaggio, fossero condannati solo in forza di altri reati, come falsa testimonianza, reticenza ecc. Se fosse esistito il reato di depistaggio, per i pm sarebbe stato più semplice incastrarli. Per questo tra le tante battaglie portate avanti dall’associazione dei familiari delle vittime, guidata dal deputato Pd Paolo Bolognesi, c’è l’introduzione nel codice penale del reato di depistaggio. A settembre del 2014 la Camera dei deputati ha votato in favore dell’approvazione della legge che introduce nel codice penale i reati di depistaggio e inquinamento processuale ma il testo si è arenato in Senato per ben 300 giorni e solo alla vigilia del 35 anniversario la situazione sembra si stia sbloccando. Con l’introduzione del nuovo reato chi manomette prove per depistare rischierà il carcere fino a 4 anni.
Ci auguriamo così che le indagini prendano nuovo vigore perché l’Associazione dei Familiari delle Vittime delle Strage di Bologna ha sempre sostenuto che, come in altre stragi analoghe, chi posizionò la bomba era solo un esecutore di ignoti mandanti. Se i mandanti non verranno individuati e puniti quell’orologio rischia di diventare il simbolo dell’oblio anziché un simbolo della memoria. Sono infatti sempre più numerose le persone che, osservando l’orologio fermo, pensano che sia guasto.Stessa sorte di oblio per l’autobus 37, custodito nel museo dell’Atc chiuso al pubblico da anni.
Con questo articolo la Fisac-Cgil vuole dare un contributo per informare chi era troppo giovane per sapere, risvegliare la memoria di chi ha vissuto gli anni di piombo ed commemorare le vittime: Tutti devono sapere perché, in quella piazza, il tempo si sia fermato alle 10.25.