In allegato il volantino del Coordinamento Donne FISAC CGIL Veneto per il 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
L’obiettivo è stato quello di affrontare la violenza in tutte le sue origini e forme attraverso una metafora: scomporre il volto della violenza nei suoi diversi tratti.
IL VOLTO DELLA VIOLENZA
Uomini che vogliono, controllano, trattengono, disprezzano, distruggono, violentano e uccidono. Uomini che scambiano l’amore per il possesso, l’essere amati per l’obbedienza, il rispetto per la sottomissione, che confondono il bisogno di stare con l’altro con l’incapacità di accettare il rifiuto e la solitudine. Uomini che si prendono le “cose” che vogliono: l’anima, il corpo, la vita.
Intorno una società ancora troppo maschilista e sessista, che mercifica i corpi e cambia il senso delle parole, che calpesta la dignità delle donne facendosi scudo con la paura e l’ignoranza, che giustifica certa violenza scaricandone la responsabilità sulla vittima trasformata in complice e colpevole.
Il volto della violenza non è solo maschile: ha anche i tratti di una cultura che sta arretrando nel riconoscimento dei diritti e della libertà di autodeterminazione della donna, che sta riaffermando stereotipi del passato, che si arrende in modo strumentale davanti alla necessità di riconoscere e valorizzare le differenze.
Dire NO ALLA VIOLENZA SULLE DONNE significa creare le condizioni affinché chi la subisce possa sentirsi libera di denunciare, sia protetta e difesa; significa sconfiggere l’indifferenza e non voltarsi dall’altra parte per non vedere e sentire quello che accade a chi ci sta accanto o incontriamo.
Dire NO ALLA VIOLENZA SULLE DONNE vuol dire anche opporsi e reagire ai numerosi tentativi di attacco alla dignità della donna e, più in generale, alla cultura conservatrice e antifemminista che stanno cercando di imporre nel nostro Paese e non solo.
DIRITTI NEGATI
Le donne sono sotto attacco! In tutto il mondo si sta divulgano in maniera molto chiara l’idea che la loro opinione e autodeterminazione non contino nulla. Siamo di fronte all’ennesimo tentativo a livello globale, nazionale e locale, di limitare la libertà decisionale della donna: le proclamazioni sessiste di Trump, la misoginia di Bolsonaro e il Fertility day voluto dalla ministra della salute Lorenzin ne sono solo alcuni esempi.
Il progetto è di portare le donne a una condizione pre 1948, quindi pre diritti civili, pre voto, pre presenza sul mercato del lavoro nel mondo. Non possiamo e non dobbiamo retrocedere di fronte al clima di attacco alla libertà e alla dignità delle donne. Di questi tempi è necessario tornare ad affermare che le donne devono poter esercitare le proprie scelte:
libere di decidere! se e quando diventare madri: i continui tentativi di svuotare di efficacia la legge 194 (prima con l’estensione incontrollata dell’obiezione di coscienza tra i ginecologi e il taglio ai consultori, poi con le mozioni proposte nei comuni di Verona, Roma, Ferrara e Milano), stanno riportando la donna alla vecchia concezione di zolla fertile da seminare al servizio dell’equilibrio demografico del Paese, svilendo, di fatto, il concetto stesso di maternità quale desiderio e condivisione di coppia;
libere di decidere! se rimanere mogli: Il disegno di legge Pillon, con l’introduzione obbligatoria e a pagamento della figura del mediatore, nega l’accesso alla giustizia a chi ha meno soldi (comunemente le donne) e si dimentica della possibilità che le donne si separino per sottrarsi a una violenza subita (fisica, sessuale, psicologica, economica) costringendole a trattare col loro aggressore;
libere di decidere! di poter restare nel mondo del lavoro senza sacrificare le proprie ambizioni e vedersi tagliare il salario, non più costrette a scegliere tra la carriera e il lavoro di cura.
MOLESTIE
Checché ne pensi il giudice che a gennaio di quest’anno ha assolto il capufficio che “amabilmente” sculacciava l’impiegata, sotto gli occhi divertiti dei colleghi, per spingerla, a suo dire, a una maggior prontezza nello svolgere il suo lavoro, non c’è nulla di goliardico, né tantomeno di accettabile, nell’approfittare della propria posizione di potere per superare quello che dovrebbe essere un chiaro limite: il corpo. Se è vero che anche nei luoghi di lavoro molti formalismi sono venuti meno (ci diamo del tu, usciamo insieme a prendere l’aperitivo, ci raccontiamo fatti personali), non deve passare la falsa idea che tutto questo giustifichi l’invasione dello spazio “intimo” di ciascuno e, senza dubbio, il corpo, e il contatto con il corpo di un altro individuo, attengono strettamente a questa sfera. Lo stesso vale per le “battute” a sfondo sessuale e sessista o quando si scambia una minigonna per un chiaro invito sessuale. La molestia non è tale in virtù dell’intenzione con la quale è agita, ma per com’è percepita da chi la subisce. “Scherzavo” non è una giustificazione, “Fa così con tutte” non significa che tutte siano uguali, “Ridici su e non far la bigotta” è un’affermazione che trasforma l’imbarazzo del destinatario in colpa: l’incapacità di comprendere il disagio della vittima da parte del molestatore non può essere messa “in conto” a chi subisce la molestia.
CORPO E LINGUAGGIO
La sovranità del corpo della donna è inviolabile e l’inviolabilità del corpo è un principio universale, un diritto di tutti, un valore morale di cui non va dimenticata l’insostituibilità. La sovranità della donna sul suo corpo è un tema di una parte (di un genere) che rivendica moralmente e giuridicamente la sua libertà. Libertà che è centrale per tutti, uomini e donne che non devono accettare passi indietro. Le lotte e i movimenti ci stanno accompagnando all’interno della creazione di un senso comune e di diritto alle pari opportunità, con l’obiettivo di rimuovere gli ostacoli che impediscono la parità formale e sostanziale delle donne. In questo percorso il linguaggio è uno strumento delicato e potente.
È lo strumento che veicola e coltiva molestie e pregiudizi, espressioni verbali basate sull’idea di superiorità o inferiorità di un genere. È lo strumento che perpetua ruoli femminili e maschili stereotipati. Il linguaggio delle immagini mercifica il corpo delle donne, lo sfrutta, lo sessualizza, in nome di mercato, profitti e audience. Tutti i giorni programmi d’intrattenimento, spot pubblicitari, cartellonistica e stampa ci propongono e ci impongono corpi frammentati, privi di un’identità, donne ammiccanti. portatrici di una forte carica erotica o donne rappresentate come le uniche responsabili della gestione di ambiti familiari e domestici. Le parole che usiamo sono lo specchio della realtà che ci circonda e un motore che può crearne una nuova! Le parole sono anche la nostra storia, e la storia che verrà, quella che scriveremo insieme. Allora il linguaggio sia il motore del cambiamento!